IL MANIFESTO DEI DIRITTI E DEI DOVERI DELLA PERSONA CON DIABETE
In questo momento di ripensamento e revisione del Sistema Sanitario, il "Manifesto dei diritti e dei doveri delle persone con diabete" può rappresentare un'ottimo strumento da cui partire per verificare le aree di intervento. In tal senso, il documento ha subito una revisione legata all'attualizzazione del testo in riferimento alle modifiche intercorse negli anni.
Enzo Bonora è professore ordinario di Endocrinologia
dell'Università di Verona e dirige il reparto di Endocrinologia, Diabetologia e
Malattie del Metabolismo della AOUI (Azienda Ospedaliera Universitaria
Integrata) di Verona. È medico, docente e ricercatore. È stato presidente della
S.I.D. (Società Italiana di Diabetologia).
Il Prof. Bonora ha pubblicato altri video con tema l’alimentazione,
ma questa serie rappresenta un vero e proprio video-trattato sull’argomento. La
suddivisione in capitoli come fossero altrettante lezioni utili ai diabetici,
agli studenti ed ai medici. Lo spunto per pubblicare questi video è stato
spiegato nel primo capitolo. Ma lasciamo allo stesso prof la spiegazione.
L’ultima edizione delle Raccomandazioni ADI-AMD-SID sulla
terapia nutrizionale della persona con diabete rappresentano una opportunità
anche per chi vuole alimentarsi in modo più attento e consapevole, come spiega
Giuseppe Marelli, il coordinatore del gruppo che ha redatto il documento.
I VIDEO DEL PROF. BONORA:
Giuseppe Marelli
responsabile della SSD Diabetologia Endocrinologia e
Nutrizione Clinica dell’Azienda Ospedaliera di Desio e Vimercate.
L’alimentazione è il centro sia per prevenzione sia per la
gestione del diabete in ogni sua forma. Per questo riveste particolare
importanza l’uscita, all’inizio del 2015 del documento La terapia medica
nutrizionale del diabete mellito.
Si tratta di un testo molto dettagliato (170
pagine) di Raccomandazioni in tema di nutrizione nel diabete mellito, elaborato
dal Gruppo di studio intersocietario ADI-AMD-SID.
La redazione di questo documento, punto di riferimento per i
medici che trattano persone con diabete è stata affidata a un gruppo di esperti
nominati dalla Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica, dalla
Associazione Medici Diabetologi e dalla Società Italiana di Diabetologia. Il
lavoro è stato coordinato da Giuseppe Marelli, responsabile della SSD
Diabetologia Endocrinologia e Nutrizione Clinica dell’Azienda Ospedaliera di
Desio e Vimercate.
Cosa è
cambiato rispetto alla edizione precedente delle
Raccomandazioni?
L’edizione precedente era del 2004 una revisione era quindi
necessaria, sia per accogliere l’evoluzione avvenuta in questi ultimi 10 anni
nella ricerca scientifica, sia per affrontare nuovi temi come l’alimentazione
della persona con diabete in ospedale, compresa la nutrizione artificiale e
parenterale, i particolari fabbisogni nutrizionali nella persona anziana con
diabete, sia la dieta della persona con diabete extracomunitaria, i rapporti
tra nutrizione e attività fisica. Si è cercato inoltre chiarire alcune
problematiche come ad esempio le diete a diverso contenuto di carboidrati e il
ruolo delle proteine. Abbiamo anche cercato di dare risposta alle domande che
nascono dall’evoluzione del mercato, pensiamo ai nutraceutici, i prodotti
alimentari elaborati in modo da rispondere a esigenze sanitarie specifiche, e
delle ‘diete’ più pubblicizzate, la dieta a zona per esempio.
Che
indicazioni può trarne la persona o il medico interessato a
prevenire il
diabete?
Si tratta di un documento scritto da medici e per medici: si
parla di terapie e quindi di persone già diagnosticate per diabete. Tuttavia è
leggibile anche in una visione di prevenzione, del diabete, per tutte quelle
persone che hanno un forte rischio genetico, o perché in forte sovrappeso o in
presenza di un pre-diabete: i concetti non cambiano molto e il linguaggio usato
è molto semplice. In particolare segnalerei i capitoli dove si parla di
bilancio energetico, di peso corporeo e calcolo del fabbisogno calorico.
Esiste
una ‘dieta per diabetici’?
No. In linea generale le raccomandazioni previste per una
persona con diabete senza problemi specifici non di discostano molto da quella
previste per le persone che hanno a cuore la propria salute. Il discorso è
diverso se al diabete si affiancano comorbilità o complicanze. Ad esempio una
persona con ipertensione dovrà ridurre ulteriormente l’apporto di sale, una
seria nefropatia richiede più attenzione ancora una volta al sale e alle
proteine. E così via.
I medici hanno perso da tempo il monopolio dell’informazione
in campo dietetico. Circolano sulla stampa, sul web e in televisione
informazioni e inviti ad adottare ad esempio diete povere di carboidrati e
ricche di proteine per non prendere peso, o inviti a ridurre l’indice glicemico
degli alimenti. Sono indicazioni corrette?
Queste indicazioni vanno raccolte con molta attenzione.
Bisogna essere chiari su questo. Primo: una ‘dieta’ deve essere sostenibile sul
lungo termine. Qualunque restrizione alimentare fa perdere peso sul breve
termine. Ma in pochi mesi il peso perso ritorna. Secondo: l’alimentazione
ideale deve comprendere tutti i principi nutrizionali: carboidrati, fibre,
grassi e proteine in modo equilibrato. Un’alimentazione troppo povera di carboidrati:
meno di 130 grammi al giorno, o di grassi o di proteine porta alla
malnutrizione e a squilibri. Ciò detto, alcuni concetti che circolano possono
essere validi. Fare attenzione all’indice glicemico degli alimenti ad esempio è
una buona idea soprattutto in una logica di prevenzione del diabete. È un fatto
che riso patate e zuccheri semplici stimolano un picco di produzione insulinica
e questa insulina in circolo fa ingrassare. Bisognerebbe però aggiornare le
tabelle sugli indici glicemici che sono vecchie e troppo discordanti.
Quali
sono le quote ideali fra i ‘macronutrienti’?
Questa versione delle Raccomandazioni contiene delle novità,
abbiamo cambiato la distribuzione di grassi e carboidrati. I carboidrati devono
essere sempre presenti nella dieta e rappresentare dal 45 al 60% dell’introito
energetico totale. Per quanto riguarda i grassi essi devono rappresentare al
massimo il 35% dell’introito calorico giornaliero, con particolare riguardo
alla quota dei grassi saturi (quelli “cattivi”) che deve essere inferiore al
10%. Per le proteine è raccomandato un introito tra gli 0,8 1 1,0 grammi per
chilo di peso corporeo.
Cosa
significa in concreto?
Per quanto riguarda i carboidrati ad esempio se una persona
non in sovrappeso può assumere circa 2000 calorie al giorno., significa che
ogni giorno potrà mangiare pane, pasta, riso, patate, legumi per un totale di
900-1200 calorie al giorno. Se non si esagera con le porzioni e ci si limita
negli zuccheri semplici è un obiettivo raggiungibile senza sacrifici.
Come sono
valutate le diete iperproteiche?
La famosa dieta a zona non chiede di abbandonare i
carboidrati ma di limitarli al 40% dell’introito energetico. Visto che le
nostre Raccomandazioni parlano del 45-60% non siamo poi tanto lontani. Il
diavolo però sta nei dettagli. Quali proteine? Se quella quota di proteine è
raggiunta mangiando salumi e carni rosse non va tanto bene. Se invece parliamo
di proteine in gran parte vegetali, allora si. Stesso discorso per i grassi.
Occorre ridurre drasticamente i grassi di origine animale (saturi) e
sostituirli con quelli ottenuti da fonte vegetale o dal pesce (monoinsaturi,
polinsaturi, omega 3 e omega 6).
Aumentano
le intolleranze e le allergie. Questo espone al
rischio di malnutrizione?
Sono davvero molte le persone che lamentano intolleranze per
esempio ai latticini, o vere e proprie malattie come la celiachia. Per fortuna
il mercato propone oggi una gamma ampia di alimenti senza lattosio e senza
glutine. La filiera alimentare-distributiva ha sicuramente molte ‘colpe’ ma sa
reagire all’evoluzione della domanda. Prendiamo gli alimenti integrali ad
esempio. Ieri erano considerati di seconda scelta e seminascosti negli
scaffali. Oggi prezzo, packaging e collocazione della pasta integrale ad
esempio sono allo stesso livello della pasta raffinata. Si è anche trovato il
modo di lavorare le farine integrali in modo da ridurre il colore scuro che
allontanava parte dei clienti.
Più di
metà della popolazione europea deve perdere peso.
Ci sono risposte
farmacologiche a questa domanda?
Premetto che il tema come tale non è stato affrontato nelle
Raccomandazioni. Fino ad ora nulla di valido. Recentemente è stato approvato
l’uso degli analoghi del Glp-1 che potrebbero dare un contributo. Ma vale in
sede di prevenzione quello che vale in sede di terapia. Dell’obesità o del
diabete: in mancanza di una modifica delle abitudini alimentari nessun farmaco
e nessuna opzione chirurgica raggiunge l’obiettivo sul medio termine.
Si può dire che sta cambiando il modo di vedere il paziente
obeso? C’è maggiore attenzione alle componenti strutturali del problema così
come a quelle genetiche?
Si, forse ieri si tendeva a vedere l’obesità soprattutto
come conseguenza di scelte individuali non appropriate. Insomma era ‘colpa’ del
paziente. Oggi siano sempre più coscienti degli aspetti genetici e del contesto
obesiogeno generale.
Guardiamo alle porzioni, alle pubblicità, ai famosi panini
di certe catene, i quali apportano 900-1000 calorie l’uno. Siamo più coscienti
dell’effetto della deprivazione economica e culturale sulle scelte alimentari.
E soprattutto alla riduzione della attività fisica richiesta. Cinquanta anni fa
si assumevano 2000 calorie al giorno ma se ne spendevano mille per l’attività
fisica: pensiamo alle mansioni lavorative o agli spostamenti a piedi. Le
Raccomandazioni ADI-AMD-SID sono molto attente a considerare insieme il ‘dare’
e l”avere’ energetico raccomandando insieme una alimentazione moderata e un
esercizio fisico appropriato.
L'allarme a livello internazionale è scattato il 31 dicembre 2019, allorché le autorità sanitarie cinesi hanno riferito all'OMS l'esistenza di un focolaio di polmonite provocata da un virus finora sconosciuto nella città di Wuhan, capoluogo della provincia di Hubei e più popolosa metropoli della Cina centrale con circa 11 milioni di abitanti.
Il 7 gennaio 2020 gli epidemiologi cinesi hanno identificato la causa del focolaio epidemico in un nuovo virus, denominato inizialmente 2019-nCoV e, a partire dall'11 febbraio, SARS-CoV-2.
All'origine del virus si ritiene vi sia stato un animale infetto transitato nel grande mercato ittico di Wuhan, dove vengono abitualmente commercializzati anche animali vivi come serpenti o pipistrelli. Ricostruendo la storia delle mutazioni genetiche del virus, i ricercatori hanno dedotto che il passaggio iniziale dal pipistrello all'uomo è avvenuto intorno a metà novembre 2019 per poi esplodere in forma epidemica circa un mese dopo grazie alla trasmissione inter-umana.
Il nuovo virus appartiene alla vasta famiglia dei coronavirus, la stessa di cui fanno parte il comune raffreddore ma anche le ben più insidiose SARS e MERS (una malattia epidemica diffusa in Medio Oriente sin dal 2012). In particolare, il nuovo coronavirus ha una affinità genetica stretta con il patogeno vettore della SARS, circostanza che motiva la sua denominazione ufficiale..
L'OMS ha attribuito anche un nome scientifico alla specifica forma di polmonite innescata dal coronavirus SARS-CoV-2: una nuova malattia denominata COVID-19
Gli effetti provocati dai virus sono per lo più febbre, tosse e difficoltà respiratorie, con complicanze che possono però compromettere anche in modo letale la salute dei soggetti più vulnerabili.
il 2 febbraio 2020 un team di ricercatori dell'ospedale "Lazzaro Spallanzani" di Roma ha isolato il virus - tra i primi laboratori al mondo a riuscirci - mettendone le sequenze genetiche a disposizione della comunità scientifica internazionale.
Come si trasmette il coronavirus?
Originariamente confinato in una o più specie di animali selvatici (i cosiddetti animali-serbatoio), il SARS-CoV-2 ha subito una serie di variazioni genetiche fino a compiere il "salto di specie" che lo ha reso trasmissibile all'essere umano.
Il contagio da persona a persona avviene per contatto a breve distanza e non per via aerea: ciò significa che si può contrarre il virus attraverso uno starnuto o un colpo di tosse emesso da un soggetto malato entro un raggio di circa un metro.
Le misure di estrema cautela attivate dalle autorità sanitarie sono motivate anche dalla ormai accertata possibilità di trasmissione asintomatica del virus da parte di soggetti che non presentano ancora i tipici sintomi dell'infezione (febbre, tosse secca, dolori muscolari e difficoltà respiratorie).
Tra gli esperti è acceso il dibattito sulla possibilità che nel periodo di incubazione del virus (stimato convenzionalmente in 14 giorni) la carica virale sia sufficiente a innescare il contagio da parte di un soggetto in fase asintomatica.
Si ritiene che tuttavia che tale probabilità sussista, e che aumenti negli ultimi giorni prima dell'insorgenza dei sintomi, e questa è una delle ragioni per cui è così importante mantenere il cosiddetto "distanziamento sociale".
Non risulta che il SARS-CoV-2 sia trasmesso dalla mamma al feto durante la gravidanza né dalla mamma al bambino durante l'allattamento (v. oltre).
Sebbene siano noti casi eccezionali di animali da compagnia che hanno contratto il virus, non vi sono studi che dimostrino la potenzialità di contagio da parte di questi ultimi verso l'uomo.
Coronavirus e letalità
Secondo le stime epidemiologiche del China Center for Disease Control and Prevention, l'infezione da Covid-19 avrebbe un tasso indicativo di letalità* di circa il 2,3%, ben inferiore dunque a quello della SARS (10%) o dell'Ebola (50%).
Secondo la quasi totalità degli analisti, questo dato anomalo si spiega con la insufficiente rilevazione dei casi di positività al virus, soprattutto dei soggetti asintomatici, che sono ragionevolmente molte centinaia di migliaia, e secondo alcune stime persino 5-6 milioni.
Al netto di queste distorsioni statistiche, il coronavirus sembra comunque essere meno letale, ma più contagioso rispetto alla SARS - la patologia geneticamente più vicina.
*Come sottolinea l'OMS, il tasso di letalità di una malattia infettiva a carattere epidemico può essere stabilito con precisione solamente al termine di un'epidemia. Il rapporto tra decessi e contagi in tempo reale, riportato di seguito nel testo, è un valore approssimativo ed è usato a puro scopo indicativo.
Il trend della pandemia
Per l'intero mese di gennaio e buona parte di febbraio il COVID-19 è rimasto quasi esclusivamente confinato alla Cina, in particolare nella provincia di Hubei.
Il 26 febbraio il numero quotidiano di nuovi contagi negli altri paesi del mondo ha superato per la prima volta quello dei contagi quotidiani avvenuti in Cina. Il 16 marzo anche il numero di vittime all'estero ha superato quelli dell'epidemia cinese. Questi dati hanno segnato il passaggio dalla fase "cinese" dell'epidemia a quella pandemica vera e propria.
A oggi casi di infezione da SARS-CoV-2 sono stati confermati in circa 180 Stati.
Guarigioni e casi attivi
Viene definito guarito un paziente che, dopo avere risolto i sintomi che presentava in precedenza (guarigione clinica), è risultato negativo al SARS-CoV-2 a seguito di due test successivi, effettuati con intervallo di almeno 24 ore l'uno dall'altro.
Ad oggi, il numero di pazienti che sono guariti dal COVID-19 a livello globale è pari a 375.958.
Non meno importante per l'interpretazione dell'andamento della pandemia è il dato relativo ai "casi attivi", ossia il numero di persone che, in un dato momento, è ammalata di COVID-19.
Questo indicatore, che si ottiene sottraendo al totale delle infezioni avvenute dall'inizio della crisi il numero delle guarigioni e dei decessi, aveva toccato il suo primo picco (58.747) il 17 febbraio 2020, all'apice della crisi cinese, per poi calare progressivamente man mano che la Cina otteneva successi nell'azione di contenimento.
Dall'inizio di marzo, tuttavia, il numero dei casi attivi a livello globale ha ripreso ad aumentare a causa dell'espansione dell'epidemia dapprima in Europa e poi nel resto del pianeta.
Attualmente il totale globale dei casi attivi ammonta a 1.217.692, il 4,1% dei quali (49.833) versano in condizioni classificate come gravi o critiche.
Italia: sviluppo dell'epidemia
Il 31 gennaio, a seguito del ricovero a Roma di una coppia di turisti cinesi provenienti da Wuhan, l'Italia è entrata a far parte della lista - allora ancora molto ristretta - dei paesi raggiunti dall'epidemia di COVID-19.
L'inizio vero e proprio dell'epidemia in Italia viene però considerato il 21 febbraio allorché sono stati identificati 16 casi di infezione a Codogno (Lodi) e Vo' Euganeo (Padova). Si tratta deiprimi casi di circolazione in Italia del virus (nei casi precedenti il virus era stato contratto in Cina).
A partire dal 22 febbraio l'Italia è salita improvvisamente al primo posto tra le nazioni non asiatiche per numero di casi di infezione da coronavirus, mentre il 19 marzo il nostro paese ha raggiunto il triste primato di decessi per COVID-19 al mondo, superando il numero di vittime della Cina.
A oggi nel nostro paese si sono verificati dall'inizio dell'epidemia 147.577 casi di positività al virus, in massima parte localizzati in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto, ma in misura minore presenti in tutte le Regioni.
Circa 66.500 persone positive al virus ma asintomatiche o con sintomi lievi sono attualmente sottoposte a isolamento domiciliare, mentre 28.240 sono i pazienti ricoverati in ospedale, dei quali 3.497 in terapia intensiva o sub-intensiva.
Complessivamente, a oggi nel nostro paese sono 30.455 i pazienti guariti e 18.849 quelli deceduti. Al momento i casi attivi in Italia sono quindi 98.273.
Italia: le misure di contenimento
Nel nostro paese erano stati attivati sin dall'inizio della crisi scanner termici negli aeroporti per controllare la temperatura dei viaggiatori in arrivo dalle zone a rischio, e da inizio febbraio sono stati sospesi i collegamenti aerei con Cina, Hong Kong, Taiwan e Macao.
Il 31 gennaio il Consiglio dei Ministri aveva dichiarato lo stato di emergenza per la durata di 6 mesi, affidando al Capo del Dipartimento della Protezione Civile, Angelo Borrelli, il coordinamento degli interventi necessari a fronteggiare l'emergenza sul territorio nazionale.
Successivamente, con l'aggravarsi dell'epidemia, il Consiglio dei Ministri del 22 febbraio ha decretato una prima serie di misure di urgenza (in gran parte focalizzate sui Comuni coinvolti ma anche di portata nazionale, come la sospensione delle gite scolastiche) finalizzate a limitare l'estensione del contagio.
Un secondo decreto in data 4 marzo ha esteso a tutto il territorio nazionale una serie di misure per il contenimento della diffusione del virus, che comprendono la chiusura in via cautelativa di tutte le scuole e università, lo stop a manifestazioni sportive, eventi culturali e in generale a qualsiasi situazione che comporti "affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale".
Il giorno successivo, 9 marzo, un quarto decreto (DPCM) ha esteso le medesime norme all'intero territorio nazionale.
L'11 marzo il Presidente del Consiglio Conte ha nominato Commissario straordinario per l'emergenza COVID-19 Domenico Arcuri.
Vale la pena sottolineare che l'Italia possiede un sistema di sorveglianza e gestione delle epidemie riconosciuto anche dall'OMS come tra i più scrupolosi al mondo.
Dall'inizio della crisi sono stati effettuati sul territorio nazionale ad oggi 906.864 test con tamponi.
Quali sono i pericoli per la salute infantile?
In generale, i virus appartenenti alla famiglia dei coronavirus sono responsabili di circa 1/5 delle polmoniti virali, e la polmonite è tuttora la prima causa diretta di mortalità infantile a livello globale, con circa 800.000 decessi annui tra i bambini di età compresa tra 0 e 5 anni (153.000 tra neonati di età inferiore a un mese), pari a un decesso ogni 39 secondi.
La polmonite è una malattia killer dell'infanzia perché i bambini, insieme agli anziani e ai malati cronici, sono i soggetti più vulnerabili alle infezioni respiratorie acute. A essere a rischio sono soprattutto i neonati e i bambini sotto i 2 anni di età, a causa della fisiologica immaturità del sistema immunitario. I bambini immunodepressi sono esposti a un rischio particolarmente elevato.
Tuttavia, nell'epidemia di COVID-19 in corso si rileva un numero di infezioni tra i bambini e i ragazzi di gran lunga inferiore rispetto a quanto avviene in altri contesti epidemici. L'età mediana dei contagi nel nostro paese è di 62 anni, mentre l'età mediana dei decessi è 78 anni.
In Italia si contano tra i bambini 0-9 anni 831 infezioni (tutte con effetti lievi) pari allo 0,7% del totale, mentre nella fascia di età 10-19 anni sono 1.219, pari all'1% del totale.
Solamente il 6,8% dei casi di infezione tra bambini e ragazzi ha comportato un ricovero ospedaliero, prevalentemente nella fascia d'età tra 0 e 2 anni.Fino a oggi non risulta alcun decesso né ricovero in terapia intensiva di pazienti nella fascia di età compresa tra 0 e 20 anni.
Per spiegare il fenomeno della resistenza di bambini e giovani all'attacco del coronavirus sono state avanzate diverse possibili ipotesi, fra le quali "l'allenamento" del sistema immunitario dei più piccoli grazie anche alle vaccinazioni.
Non vi sono prove che il virus possa essere trasmesso dalla donna in gravidanza al nascituro o dalla mamma in allattamento al neonato. L'Istituto Superiore di Sanità ha negato che sia mai stata rilevata traccia di proteine virali nel liquido amniotico, nel cordone ombelicale, nel colostro o nel latte materno di una donna infettata dal SARS-CoV-2. L'UNICEF raccomanda dunque alle donne in gravidanza o in allattamento che vivono in zone considerate a rischio di applicare le normali misure di igiene raccomandate per l'intera popolazione (lavaggio frequente delle mani con sapone o soluzione alcolica, coprire la bocca durante colpi di tosse o starnuti, ecc.).
Le sole mamme con sintomi influenzali dovrebbero per precauzione utilizzare una mascherina quando sono a stretto contatto con il bambino (anche durante l'allattamento)..
In attesa di ulteriori studi clinici, è importante applicare anche ai bambini tutte le misure di prevenzione e igiene consigliate dalle autorità sanitarie, sia nelle zone interessate dal contagio che in quelle ancora esenti.
Gli psicologi consigliano di spiegare ai bambini (in modo adeguato al grado di comprensione e alla maturità emotiva di ciascun soggetto) ciò che sta avvenendo intorno a loro. Non ricevere spiegazioni dagli adulti in un contesto di tensione ben percepibile rischia infatti di generare un'ansia ancora maggiore rispetto a quella che può generare una consapevolezza ben gestita.
Ci sono cure per questa malattia?
A differenza della comune polmonite batterica, quella del COVID-19 non può essere curato con gli antibiotici.
Al momento non esistono farmaci antivirali specifici. Mentre sono in via di sperimentazione diversi farmaci già esistenti per altre malattie o combinazioni di essi, la terapia consiste soprattutto nell'alleviare i sintomi con anti-infiammatori, antipiretici e idratazione (nei casi più gravi con respirazione assistita) e nel più rigoroso isolamento del paziente.
Non esiste neppure un vaccino, la cui messa a punto e sperimentazione richiederà, secondo le diverse stime ipotizzate, circa un anno di tempo.
L'OMS ha reso noto che al 20 marzo sono 2 i candidati vaccini (uno di un team di ricerca cinese, l'altro del National Institute od Allergy and Infectious Diseases degli Stati Uniti) approdati alla Fase 1 della sperimentazione, mentre altri 42 potenziali vaccini sono nella fase pre-clinica.
In attesa di farmaci o vaccini specifici, la "medicina" più immediata ed efficace contro il coronavirus è impedire che esso continui a propagarsi, limitando al minimo indispensabile spostamenti e contatti.
Perché bisogna prendere il coronavirus sul serio
Ci sono diverse ragioni che inducono a considerare la pandemia di COVID-19 come un'emergenza sanitaria internazionale da prendere assolutamente sul serio..
La prima, elementare ragione, è che si tratta di una nuova malattia alla quale siamo tutti potenzialmente esposti, privi di anticorpi specifici e senza poter ancora beneficiare di vaccini per prevenirla o di farmaci per curarla.
È quindi del tutto comprensibile che la comunità internazionale si mobiliti per bloccare sul nascere il COVID-19: il mondo non ha certamente bisogno di nuove malattie, soprattutto se estremamente contagiose e con complicanze talvolta letali.
Qualcuno ha obiettato che il nuovo coronavirus ha sintomi non dissimili a quelli della comune influenza, che colpisce ogni anno circa circa un italiano su dieci (5,6 milioni i casi quest'anno), provocando in una parte della popolazione colpita complicanze gravi che possono condurre alla morte.
Inoltre, proprio come l'influenza, il SARS-CoV-2 colpisce in forma grave soprattutto persone anziane, e ha effetti letali quasi esclusivamente per soggetti con salute già compromessa per altre patologie (tumori, diabete, disturbi cardiovascolari, obesità).
Questo vuol dire che il coronavirus va considerato alla stregua della comune influenza? La risposta è no.
In primo luogo, per l'influenza esiste un vaccino efficace, mentre per il SARS-CoV-2 ancora no.
Se analizziamo i decessi avvenuti per influenza in Italia nella scorsa stagione invernale, scopriamo che l'80% delle vittime non si era vaccinata: questo dato ci fa capire quanto un vaccino faccia la differenza, e quanto sia rischiosa la negligenza vaccinale, soprattutto per i soggetti a rischio (anziani, malati e immunodepressi).
In secondo luogo, la comune influenza stagionale ha tassi di complicazioni gravi (1 ogni 36.000*) e di letalità (1 decesso ogni 187.000 malati*) molto bassi.
Nella malattia COVID-19, al contrario, le complicazioni gravi sono assai più frequenti (circa 1 caso su 7) e gli esiti letali si aggirano intorno al 3% (20 volte di più rispetto all'influenza).
Ora, un tasso di letalità del 2-3% può apparire molto basso, se comparato a malattie come la SARS del 2003 in Cina (9,6%) o dell'Ebola in Africa occidentale (dal 25 al 90% a seconda dei focolai, dato OMS).
Su questo aspetto è intervenuto il noto virologo Roberto Burioni, uno dei massimi esperti in materia, ricordando come il tasso di letalità della "spagnola" - la pandemia influenzale che nel 1918-20 provocò tra 50 e 100 milioni di morti - non fosse superiore al 2%, ma con una contagiosità altissima (si ammalarono all'epoca circa mezzo miliardo di persone in tutti i continenti).
In altre parole, la pericolosità del coronavirus va considerata non solo per il numero effettivo di decessi che registriamo oggi, ma per il numero potenziale di vittime che si avrebbero se la pandemia si estendesse ai paesi dell'emisfero meridionale, le cui strutture sanitarie non riuscirebbero a reggere l'urto di un'ondata di malattie respiratorie acute.
Inoltre, ben prima di raggiungere quei livelli, la pandemia sta già minacciando di mettere in ginocchio i sistemi sanitari nazionali (inclusi quelli dei paesi più avanzati) innalzando il numero di pazienti bisognosi di terapie intensive ben al di sopra delle capacità esistenti.
"La finestra di opportunità c'è ancora, ma si sta restringendo" ha affermato il direttore dell'OMS Tedros Adhanom Gebreyesus. "Dobbiamo agire il più rapidamente possibile prima che questa finestra si chiuda."
Isolare rigorosamente i soggetti contagiati, applicare con scrupolosità le misure di contenimento previste dalle autorità sanitarie, sostenere la ricerca di farmaci e vaccini specifici e contrastare panico e fake news ("infodemia") sono le azioni che contribuiscono a tenere aperta quella finestra di opportunità di cui parla il leader dell'OMS.
Bambini e adulti in coda per effettuare controlli in un ospedale di Phnom Penh (Cambogia)
L'azione dell'UNICEF
L'UNICEF, presente stabilmente in Cina sin dal 1979 con programmi di assistenza all'infanzia, ha offerto alle autorità sanitarie locali la propria piena disponibilità a sostenere la risposta all'emergenza in corso.
Il 29 gennaio un aereo cargo con attrezzature sanitarie, partito dalla centrale logistica della UNICEF Supply Division a Copenaghen, ha raggiunto Shangai per poi proseguire il viaggio verso Wuhan, epicentro della crisi. A questo primo contributo nel contrasto all'epidemia ne seguiranno presto altri.
L'UNICEF ha lanciato un primo appello umanitario da 42,3 milioni di dollari, necessari per finanziare le campagne di informazione e prevenzione sanitaria in Cina e in altri paesi dell'Estremo Oriente colpiti dall'epidemia e per proseguire gli interventi di sostegno psicologico e istruzione a distanza per i bambini impossibilitati a frequentare la scuola.
Successivamente, l'appello è stato ricalibrato a 651,6 milioni di dollari, sulla base degli scenari più realistici della pandemia, nel quadro del più ampio Appello Globale dell'ONU da 2 miliardi di dollari per il contrasto del COVID-19.
In queste settimane l'UNICEF ha condotto interventi umanitari - dalla fornitura di grandi quantitativi di dispositivi per la protezione individuale alla realizzazione di campagne di informazione sanitaria all'aiuto tecnico ai governi per fronteggiare l'epidemia - in numerosi paesi di Asia (Cina, Malesia, Filippine, Pakistan, Afghanistan, Bhutan, Laos, Indonesia, Iran), Africa (Algeria, Nigeria, Liberia), Medio Oriente (Palestina) e America Latina (Venezuela).
Fonti dei dati e delle informazioni riportate in questo documento